
La legge n. 381 del 1991 (art. 5 c.1) prevede che le convenzioni “sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.
Tale previsione è stata inserita dalla legge n. 190 del 2014 (art. 1, c. 610), sulla scorta di orientamenti interpretativi e giurisprudenziali volti a censurare la possibilità per la pubblica amministrazione di effettuare semplici affidamenti diretti a favore delle cooperative sociali. Si è ritenuto, infatti, che la deroga all’applicazione delle norme ordinarie in tema di contratti pubblici non possa spingersi sino al punto di eliminare qualsiasi previsione di trasparenza e parità di trattamento.
L’attuale formulazione comporta che la selezione della cooperativa sociale o delle cooperative sociali con le quali stipulare la convenzione debba avvenire all’interno di un procedimento che consenta di comparare le diverse offerte delle cooperative sociali partecipanti, le quali debbono essere poste in condizione di essere informate della selezione e di poter partecipare in condizioni di parità. Spetta, quindi, a ciascuna amministrazione definire le modalità attuative della prescrizione dell’art. 5, c.1 in termini procedurali, nel rispetto dei principi desumibili dal diritto europeo.
A.N.A.C. si è espressa diverse volte sulle convenzioni, rilevando che in assenza di previsioni alternative circa la procedura di affidamento da utilizzare, si ritiene che la materia debba essere disciplinata secondo i canoni previsti dal Codice dei Contratti, avendo a riferimento la natura degli affidamenti.
Gli stessi orientamenti di A.N.A.C affermano altresì che il criterio da applicare nella valutazione delle offerte delle cooperative sociali è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto la stazione appaltante deve poter valutare l’effettivo perseguimento dell’obiettivo del reinserimento dei lavoratori, giustificandosi per tale fine la compressione della concorrenza.
Secondo gli orientamenti giurisprudenziali maturati sul punto, alle convenzioni previste dalla legge n. 381 del 1991 si applica il principio di rotazione, il quale costituisce una specifica applicazione del principio di non discriminazione (Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2009, n. 435). Si tratta di una interpretazione che, data la finalità perseguita dalle convenzioni, presenta non pochi profili problematici e rivela uno scenario di possibile tensione fra finalità solidaristica dello strumento e tutela della concorrenza.
Le “convenzioni” si collocano, come si è visto, nel punto più delicato dell’intersezione fra la disciplina promozionale del Terzo settore (o, meglio, di una parte di esso: Odv, Aps e cooperative sociali) e la disciplina dei contratti pubblici. Le convenzioni, infatti, rappresentano degli “spazi giuridici” – per così dire – nei quali le norme sulla contrattualistica pubblica dovrebbero trovare applicazione ma in cui il legislatore, per finalità solidaristiche e di valorizzazione dell’autonoma iniziativa dei cittadini associati (valorizzazione della sussidiarietà, si potrebbe dire), ha stabilito che esse non trovino applicazione.
Al contrario, ad essere applicate sono disposizioni che, tramite la conclusione di una convenzione, intendono realizzare obiettivi ulteriori rispetto alla semplice realizzazione di un servizio, quali l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, l’allestimento di un servizio di emergenza-urgenza in grado di assicurare una universale protezione del diritto alla salute, la valorizzazione dell’attività di volontariato, ecc. (già si è detto, in apertura, della differenza fra le convenzioni e la co-progettazione).
Proprio perché si tratta di ambiti sottratti all’applicazione delle norme sui contratti pubblici, il legislatore ha inserito una serie di limitazioni con la finalità di disciplinarne il ricorso, in un’ottica di bilanciamento fra finalità solidaristica e tutela della concorrenza. Si spiegano così le limitazioni di ambito materiale, le limitazioni dal punto di vista delle qualifiche del Terzo settore, le limitazioni legate al mero rimborso delle spese, e i requisiti di contenuto delle convenzioni, ecc.
Non stupisce, allora, che le convenzioni – e, in particolare, quelle legate al delicatissimo servizio di emergenza-urgenza – siano oggetto di un contenzioso complesso davanti alla giurisdizione amministrativa e alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Tali pronunce, insieme alle fondamentali linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (dm n. 72 del 2021), integrano il dettato normativo statale e regionale, cercano di delimitare i rispettivi confini, sebbene qualche tensione rimanga aperta.
Nel complesso, gli artt. 56 e 57 del Codice del Terzo settore e l’art. 5 della legge n. 381 del 1991 rivelano un altro volto – ma non meno importante – dell’amministrazione condivisa.
Anche queste disposizioni concorrono al superamento dell’idea “per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una ‘autonoma iniziativa dei cittadini’ che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese”.
Ciò avviene senza ricorrere al mercato, ma valorizzando l’ambito delle cosiddette “‘libertà sociali’ (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle ‘forme di solidarietà’ che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese ‘tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente’” (sentenza n. 309 del 2013).